Quando lo stress diventa eccessivo e dannoso

Il tema dello stress come fattore di rischio per la salute è uno dei più popolari in psicologia. Il termine è stato utilizzato per la prima volta in campo umano, per indicare gli effetti di alcuni agenti nocivi, quali il freddo e la mancanza di ossigeno.

Si deve soprattutto a Selye, negli anni 30’, il merito di aver identificato questa condizione in termini adattivi, in quanto lo stress permette all’organismo, posto di fronte a stressor di varia natura, di mettere in atto risposte fisiologiche che tendono a ristabilire l’equilibrio.

Ma lo stesso studioso, successivamente, descrisse due modelli distinti e antitetici di stress, in base agli effetti che producevano sull’organismo: “l’eustress” quando vi era un effetto piacevole, desiderabile e adattivo dello stress e “distress” quando il risultato era disadattivo, dannoso e spiacevole. In effetti, nella pratica clinica, siamo per lo più di fronte alla seconda condizione qui descritta, in quanto sebbene le conseguenze deleterie dello stress siano in parte mediate dalle modificazioni dei sistemi endocrino, immunitario e nervoso autonomo, l’esperienza dello stress influenza negativamente anche i comportamenti rilevanti per la salute (spingendo le persone ad adottare comportamenti malsani o rischiosi nel tentativo di ridurre la minaccia o di controllare le emozioni attivate dall’esperienza potenzialmente dannosa; ad esempio bere alcolici, fumare, abbuffarsi…).

Inoltre, in una sorta di circolo vizioso, lo stress può essere visto come conseguenza dello stile di vita adottato, deducendo che la relazione fra stile di vita e stress è piuttosto bidirezionale. Un agente stressante può quindi danneggiare l’organismo sia direttamente, quando oltrepassa la sua capacità di adattamento, sia indirettamente, come risultato dei processi messi in atto dalla difesa contro l’agente stressante.

È chiaro quindi come la relazione tra stress e malattia (fisica o mentale) dipende da differenze individuali  (sia biologiche che di personalità), dal contesto, dalle risorse sociali a disposizione e soprattutto dalla percezione dell’evento stressante stesso. La relazione tra fattori psicologici e la grande varietà di patologie che prima si ritenevano di origine organica è oggi di grande attenzione: ad esempio alcuni autori hanno messo in luce la connessione tra rischio coronarico e un atteggiamento costante caratterizzato da forte competitività, ostilità, urgenza del tempo (chiamata “comportamento del tipo A”) che sarebbe, in un certo senso, indicativo di una specie di stress che i soggetti si autoimpongono, con le conseguenti intense reazioni che ne derivano. Infatti il cervello, con i suoi collegamenti con il sistema neuroendocrino e immunitario, appare un punto di riferimento obbligato per la comprensione dell’organismo nei suoi stati di salute o malattia.

I fattori ambientali e personali implicati nell’esperienza dello stress possono essere diversi:

  • Il ruolo degli eventi di vita, sia positivi sia negativi, possono essere fonte di stress nel momento in cui la persona è costretta ad affrontare cambiamenti rilevanti che richiedono uno sforzo di adattamento.
  • Le preoccupazioni della vita quotidiana, cioè tutte le piccole irritazioni, frustrazioni, seccature che nascono dalla transazione incessante con l’ambiente, costituiscono una fonte di stress a volte più importante degli eventi di vita gravi e possono risultare nocivi per la salute.
  • Molti problemi non riguardano solo il singolo, ma interi gruppi, comunità, società e culture (come guerre, eventi catastrofici ecc..).
  • Il ruolo della persona, che è fondamentale, in quanto i fattori percettivo-cognitivi (ossia come una persona valuta lo stress subito), giocano un ruolo decisivo.

Perciò individuare oggettivamente cosa può essere stressante o no è improduttivo, perché, ciò che conta, è come viene vissuto dalla persona. Da questo punto di vista ogni evento ha la potenzialità di essere stressante.

Data questa premessa, possiamo ben comprendere come il lavoro su di sé, sui propri processi cognitivi e l’apprendimento di strategie per gestire lo stress possa essere di grande aiuto. Nello specifico l’approccio cognitivo comportamentale offre un’ampia gamma di strumenti e interventi volti alla gestione dello stress e al miglioramento della qualità di vita.

Ad esempio, le classiche tecniche di rilassamento (Rilassamento Muscolare Progressivo, Training Autogeno ecc..), o i più recenti approcci che utilizzano tecniche meditative mutuate dalla cultura Buddista (Acceptance and Commitment Therapy, Compassion Focused Therapy ecc…) sono utili per apprendere a gestire i momenti stressanti fonte di ansia. Inoltre, il lavoro sui processi cognitivi che vengono messi in atto dalla persona per far fronte (senza successo) agli eventi stressanti, è la base di tale approccio, favorendo una maggiore flessibilità psicologica, interpretazioni alternative degli eventi e in parte accettazione di ciò che si sta vivendo.

Laura Caccico (Ist. IPSICO, Firenze)